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Roma, I Pupi di Mimmo Cuticchio: una forza della natura #Vistipervoi da Alessandro Paesano

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di Alessandro Paesano, twitter@Ale_Paesano

 

 

 

Continua la programmazione di ArtCity, l’offerta culturale del Polo Museale del Lazio che sta distinguendosi come uno dei momenti più interessanti e alti (per la varietà e la qualità della programmazione) di una estate romana altrimenti povera e commerciale.

Giovedì 20, nel cortile del teatro di un suggestivissimo Castel Sant’Angelo, l’Associazione Figli d’Arte Cuticchio di Mimmo Cuticchio ha presentato quella forma unica di teatro dell’opera dei Pupi di figura a un numerosissimo pubblico romano. Per esigenze logistiche Cuticchio ha deciso di non montare le quinte, che altrimenti avrebbero impedito a chi sedeva ai lati della platea di vedere l’azione, e abbiamo avuto dunque la fortuna di vedere il  lavoro dietro le quinte dei pupi, con i ruoli rigidamente suddivisi: il puparo vero e proprio che che dà voce a tutti i personaggi, compresi quelli femminili; i manianti  che muovono gli altri pupi e contribuiscono alle voci nelle scene di gruppo, e i pruituri, che porgono i pupi al pupazzo nel giusto ordine.

Abbiamo potuto assistere alla faticosa animazione (puparo e manianti muovono il pupo di lato, rimanendo ai bordi di quinta) del pupo palermitano, una marionetta che ha le ginocchia pieghevoli, e quindi va sempre tenuto in piedi  non potendosi sostenere se poggiato a terra (a differenza del pupo catanese), un pupo che – a differenza di quello catanese che la brandisce sempre –  sguaina e ripone la spada, alza e abbassa la protezione facciale dell’elmo, alza le braccia e le porta al petto, con un effetto che più che la naturalezza restituisce la vitalità del pupo con una facilità apparente  che incanta grandi, piccini e piccine.

Cuticchio è una forza della natura e con doti recitative uniche, a cominciare dalle voci femminili che non restituisce, come vuole la tradizione, in falsetto, ma con una cadenza riconoscibile, dal leggero effetto ilare, utilizzando delle affettazioni della parlata che si rifanno a dei precisi profili psicologici.

 

Il grande regalo di averci permesso di assistere al lavoro altrimenti celato ci ha fatto scoprire alcuni “segreti” del mestiere, dalla rumoristica che annovera, per la “voce” di un serpente minaccioso, l’impiego di una conchiglia cui Tania Giordano (ex allieva della scuola di Cuticchio, ora pupara in pianta stabile nella compagnia) soffia dentro, ai piede che percuotono l’impiantito per dare il ritmo (oltre che il suono) dei combattimenti.

L’opera che Cuticchio ha portato in scena è tratta dal ciclo carolingio di tradizione palermitana dal titolo magniloquente: Il grande duello di Orlando e Rinaldo per amore della bella Angelica, una scelta classica anche se Cuticchio si è distinto negli ultimo vent’anni per aver sperimentato e rifondato le storie raccontate che, come si può vedere sul suo sito, si sono ampliate proponendo Shakespeare o aspetti più moderni della vita siciliana.

Nella storia presentata la bella Angelica, fuggendo da Parigi, fa svuotare la città da tutti i paladini, corsi al suo inseguimento, tranne Rinaldo e suo cugino Orlando, il quale confessa di non essere andato alla ricerca della bella perché ha appreso tardi della sua fuga. Salvata da Orlando da un gigante saraceno che l’aveva rapita Angelica viene descritta come una principessa la cui femminilità si traduce in fascino pericoloso (tanto da lasciare Parigi in mano ai saraceni) e vacuità di pensieri (confessa a Orlando di essere stordita dal bruto che l’ha rapita).

Questa visione sessista della donna non deve stupire, risale a forme narrative ottocentesche (quando si sviluppa l’opera dei Pupi) che a loro volta si rifanno ai canoni carolingi.



Non tutte le donne dell’opera dei pupi sono però “femmine svampite”.  Ci sono valorose combattenti sia tra le schiere cristiane che tra quelle saracene, donne volitive e artefici del loro destino proprio come gli uomini. La messinscena è condotta dal puparo Cuticchio che ha scelto una narrazione calibrata e non mirabolante che non calca la mano su tutta una serie di accorgimenti tecnici che caratterizzano questa forma di teatro di figura, come abbiamo visto fare in altre occasioni a spettacoli rivolti a un pubblico un po’ a digiuno di teatro di figura. Nelle scene di combattimento i cavalieri cristiani fanno carneficina dei saraceni – e i pupi uccisi si accatastano l’uno sopra l’altro – morendo con le più efferate mutilazioni: c’è a chi viene tagliata la testa, chi viene diviso in due all’altezza della vita chi tagliato in due parti dalla testa ai piedi, con dei pupi costruiti apposta con queste caratteristiche.

Tra i personaggi fantastici non sono mancati il serpente dalla bocca minacciosa animato per tutte le spire del corpo, oltre al già detto Gigante (che muore con la testa letteralmente spaccata in due) a un bellissimo diavolo uscito direttamente dalla bocca dell’inferno, con tanto di corna, ali nere e coda, anche quella animata.

I pupi portati in scena sono splendidi esemplari d’arte, costruiti dagli anni ’70, ma ne possiede anche di molto più antichi, dai pennacchi colorati alle armature scintillanti, dagli Abiti rinascimentali delle dame e dei prelati, alla fiera rozzezza dei costumi dei saraceni.




L’opera dei Pupi costituisce una duplice forma d’arte, come racconto teatrale e come marionette costruite e concepite dal laboratorio del teatro, secondo una tradizione che, almeno una volta, vedeva gli uomini sulla scena e le donne alla cassa mentre oggi sua moglie cura, oltre alla parte amministrativa, tutte le musiche dello spettacolo.

Sua madre, che è venuta a mancare da pochi anni, si era invece ritagliata una sua funzione, dipingendo fondali e quinte.

Splendidi i racconti che Cuticchio ha regalato al pubblico a fine rappresentazione, sull’abitudine di sua madre, quando lui era ancora in fasce, di farlo dormire in una cesta sotto il banco di cassa, mentre nessun rumore della animatissima rappresentazione riusciva a svegliarlo, ma il silenzio dopo la rappresentazione sì.

Cuticchio ha avutola forza e l’intelligenza di far rinascere una forma d’arte teatrale molto popolare ma che rischiava l’estinzione riavvicinandosi alle radici della sua narrazione e riavvicinandosi a un pubblico non più abituato a una forma d’arte una volta popolarissima.

Prima di congedarsi ha invitato il pubblico a venire a vederlo al suo atelier a Palermo e poi si è concesso generosamente ai curiosi e le curiose, che hanno potuto guardare i pupi a più vicino.

Una serata unica, un’altra perla di una programmazione intelligente, colta, perfetta.

#Vistopervoi a Roma, il 20 luglio 2017 a Castel Sant’Angelo.

 

 

(23 luglio 2017)

 

 

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